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L’informazione che disinforma: quando la “credibilità” tradisce la fiducia.

Il vero pericolo non dipende dall’ignoranza. Dipende dall’illusione della competenza!

Immagina di cercare informazioni su un trattamento dentale. Ti imbatti in un articolo rassicurante, scritto da un professionista certificato, che ti consiglia rimedi “naturali” promettendo risultati straordinari. Ti fidi. Sbagli!

Uno studio pubblicato su Brazilian Oral Research (2023) analizza 410 siti web dentali: 318 contengono disinformazione. Il colpo di scena? Il 41,9% è prodotto da odontoiatri certificati, motivati principalmente da interessi commerciali.

Le agenzie di verifica intercettano appena il 5,9% di questi contenuti.

Viviamo nell’illusione che disporre di più informazioni equivalga a produrre decisioni migliori.    Le evidenze scientifiche raccontano una storia diversa.

Una metanalisi su 220 studi (Miller, 2016) dimostra che gli interventi di alfabetizzazione sanitaria aumentano l’aderenza terapeutica del 16%. Applicato agli Stati Uniti: 14,4 milioni di pazienti potrebbero beneficiare di cure più efficaci semplicemente imparando a distinguere informazione verificata da contenuto commerciale (perdonatemi se utilizzo essenzialmente dati relativi ad altri paesi ma sono quelli disponibili in questo momento).

Il problema non è la quantità di dati disponibili. È il discernimento applicato dal paziente.

La ricerca online: nemica o alleata?

Contrariamente alla narrativa dominante, la ricerca online non è nemica della relazione clinica. È solo una questione di metodo.

Una revisione sistematica su 53 studi (Luo et al., 2022) rivela che “nel 58% dei casi, quando il paziente discute apertamente le informazioni trovate online, la relazione con il professionista migliora significativamente. Aumentano collaborazione, fiducia, partecipazione attiva”.

Perché? Qual è il meccanismo? Starcevic (2024) lo identifica con precisione: i pazienti evitano di condividere le proprie ricerche quando percepiscono disapprovazione da parte del clinico. Quando, invece, il clinico legittima esplicitamente la ricerca informativa e offre al paziente un framework, aiutandolo nella valutazione e nella comprensione, si inverte completamente la dinamica.

Un protocollo per cambiare la prospettiva

Ormai da anni nelle prime consultazioni applico una sorta di audit epistemologico di circa 10/15 minuti strutturato in tre fasi:

  1. Mappatura: “Da dove provengono le Sue informazioni?”
  2. Valutazione (collaborativa): Concentrazione sui criteri di accuratezza/credibilità/affidabilità.
  3. Sintesi basata su evidenze. Co-costruzione decisionale con il paziente, ora correttamente, informato.

I risultati (misurabili):

  • Riduzione dei conflitti nelle fasi successive.
  • Aumento aderenza terapeutica. 
  • Miglioramento percepito della relazione.

Il tempo investito nella alfabetizzazione sanitaria del paziente non è tempo sottratto alla clinica.  È, semplicemente, la vera essenza della clinica moderna.

Una lezione dalla letteratura.

In uno studio su 274 pazienti parodontali (Xu et al., 2024) identifica sei variabili che influenzano la ricerca informativa: demografia, esperienza diretta, percezione gravità, autoefficacia, caratteristiche personali, utilità percepita. Qual è risultata essere la variabile più predittiva? L’autoefficacia.

I pazienti con un’elevata percezione delle proprie capacità cercano attivamente informazioni e ottengono risultati clinici migliori. Non perché sappiano di più, ma perché hanno sviluppato un pensiero critico.

L’insight: non è la quantità di informazioni che possiedono, ma la qualità del loro processo di valutazione.

Una guida al controllo ed alla verifica per i pazienti attenti

  • Verificare le credenziali dell’autore (nome, qualifiche, affiliazione).
  • Esaminare i riferimenti scientifici. 
  • Riconoscere i conflitti d’interesse, dichiarati e non dichiarati.
  • Identificare la data di pubblicazione (< 3 anni per contenuti clinici).
  • Filtrare il linguaggio (“miracoloso”, “naturale al 100%”, “ciò che i dentisti nascondono”).
  • Fondare le “impressioni” con, minimo, 3 fonti accreditate indipendenti.
  • Confrontarsi, sempre, con un professionista autorevole e accreditato.
  • Applicare sistematicamente il pensiero critico. 

Quando prassi e ricerca convergono.

Le mie sensazioni, maturate in molti decenni di pratica professionale, convergono con i dati della letteratura peer-reviewed su una verità scomoda: le credenziali professionali non garantiscono l’integrità informativa poiché il 41,9% della disinformazione dentale proviene da professionisti del settore. Questo non mina la professione. La ricontestualizza poiché l’eccellenza clinica nel 2025 non è solo tecnica. È, soprattutto, epistemologica ed emerge dall’intersezione tra:

  • Il professionista che riconosce legittimità della ricerca informativa del paziente
  • Il paziente che sviluppa capacità critica di valutazione
  • La consultazione come spazio di co-apprendimento

La domanda essenziale:

In prima visita non chiedo solo: “Cosa sa della sua condizione?”

Chiedo anche: “Quali sono le sue fonti? Quali criteri ha usato per valutarle?”

La risposta, spesso, mi dice più delle radiografie o degli esami strumentali. Perché l’odontoiatria moderna non cura solo i denti o il paziente; si prende cura anche delle loro decisioni.

E le decisioni giuste nascono solo da alleanze epistemologiche, non da asimmetrie informative.

L’invito: Se dovesse cercare informazioni su un trattamento complesso oggi, quali criteri userebbe per distinguere contenuto verificato da marketing mascherato da scienza?

La Sua risposta potrebbe essere più rilevante per il risultato clinico di quanto Lei immagini.

Dr. Gaetano Calesini e Dr. Caterina Calesini

Riferimenti bibliografici:

  1. Lotto M et al. (2023). Braz Oral Res, 37:e049
  2. Luo A et al. (2022). J Med Internet Res, 24(2):e23354
  3. Miller TA (2016). Patient Educ Couns, 99(7):1079-1086
  4. Xu Y et al. (2024). BMC Oral Health, 24:1307
  5. Starcevic V (2024). Psychother Psychosom, 93(2):80-84