Skip to content Skip to footer

Il tuo sorriso, perfettamente restaurato nel 2005, potrebbe nascondere un segreto scomodo

Perché le dentature restaurate con protesi eccellenti “invecchiano” anche quando sembrano perfette?

C’è un momento particolare nella vita di ogni restauro protesico di qualità. Un momento in cui tutto sembra ancora perfetto allo specchio, ceramica lucente, anatomia preservata, funzione apparentemente impeccabile ma, sotto quella superficie impeccabile, si è consumata una trasformazione silenziosa.

Se le tue corone o i tuoi ponti avessero più di quindici-vent’anni, questa lettura potrebbe cambiarti la prospettiva. Non per allarmarti, ma per darti strumenti di comprensione che pochissimi professionisti condividono esplicitamente.

L’illusione del “funziona ancora benissimo”

Immaginiamo di indossare lo stesso paio di scarpe su misura, perfettamente confezionate, per vent’anni. La pelle è ancora integra, la forma apparentemente impeccabile. Ma i nostri piedi? Sono cambiati. La nostra postura si è modificata. Il modo in cui camminiamo si è evoluto. Quelle scarpe, perfette del 2005, stanno ora forzando il nostro corpo in posizioni per cui non è più programmato.

È esattamente ciò che accade con le protesi dentali nel tempo. Ma con una differenza cruciale: mentre con le scarpe percepiamo subito il disagio, in bocca i segnali arrivano molto, molto dopo.

Gli studi scientifici longitudinali documentano che le protesi fisse convenzionali mantengono tassi di sopravvivenza del 93,8% a 5 anni, che scendono a 89,2% a 10 anni. Numeri rassicuranti, vero?

Ma ecco il dettaglio che cambia tutto: a vent’anni, la sopravvivenza scende al 73% La curva non è lineare. È una discesa che accelera progressivamente dopo i quindici anni.

E “sopravvivenza” nella letteratura scientifica significa semplicemente “ancora in bocca”. Non significa “ottimale”. Non significa “in armonia con la nostra biologia attuale”.

Il tradimento del tempo: il nostro corpo cambia, la protesi è immutabile

Ecco il problema fondamentale che molti non considerano: noi siamo un sistema biologico vivente, dinamico, in continua evoluzione. La protesi è un dispositivo statico, cristallizzato nel tempo.

Negli ultimi vent’anni, mentre quella bellissima protesi rimaneva identica:

  • Le gengive hanno cambiato volume e posizione. Impercettibilmente, millimetro dopo millimetro. Ma cumulativamente? la loro relazione con i bordi protesici è sostanzialmente diversa.
  • L’osso che sostiene i denti si è rimodellato. La ricerca documenta aumenti progressivi di recessione gengivale, profondità di sondaggio e perdita di attacco attorno ai pilastri protesici 
  • L’occlusione si è modificata. L’usura naturale dello smalto contro smalto è di 17-35 micron all’anno. Le ceramiche protesiche inducono usura molto maggiore: fino a 180 micron annui sullo smalto antagonista. In vent’anni parliamo di millimetri di cambiamento.
  • I rapporti tra le tue arcate si sono spostati. La mandibola compensa, i muscoli si adattano, le articolazioni trovano nuovi equilibri.
  • Le radici dei denti pilastro si demineralizzano e si cariano, molto spesso senza dare alcun sintomo. 
  • I denti pilastro devitalizzati “cristallizzano” ed aumentano l’incidenza delle fratture. 

Il risultato? Quella protesi, perfetta del 2005, ora forza la nostra occlusione in posizioni per cui i tessuti non sono più progettati e, forse, i denti a cui sono ancorate non sono più così affidabili. È come indossare scarpe bellissime della taglia sbagliata: possiamo farlo? Si, ma a quale costo?

Il primo segnale non è mai il primo problema.

Avete presente quando l’auto inizia a fare un rumore strano, apparentemente innocuo? E il meccanico dice: “Questo rumore è solo il sintomo. Il problema vero è iniziato mesi fa!

Con le protesi ventennali funziona esattamente così.

Uno studio prospettico su protesi con 7-19 anni di funzione documenta che dopo 15 anni, quasi una protesi su due (45,7%) presenta complicanze biologiche e/o tecniche 

Quando vediamo il primo cedimento visibile, una piccola scheggiatura, un margine che inizia a scoprirsi, un’infiammazione gengivale che prima non c’era, una carie radicolare, raramente è l’inizio del problema. È solo il momento in cui il problema diventa finalmente visibile al paziente.

È come la differenza tra la prima crepa nel muro e il movimento delle fondamenta che l’ha causata. Possiamo stuccare la crepa, certo. Ma le fondamenta?

L’effetto domino che pochi professionisti spiegano.

Ecco gli scenari possibili che l’odontoiatra può proporre al paziente quando, in una bocca restaurata con una protesi estesa eseguita da un ventennio, inizia il primo cedimento percepibile:

Scenario A – L’approccio reattivo e conformativo, sfortunatamente quello più comune:

  1. Appare il primo problema su un elemento.
  2. Si ripara quell’elemento specifico.
  3. Entro pochi mesi/anni, iniziano problemi sugli elementi adiacenti.
  4. Si riparano anche quelli.
  5. Il costo cumulativo – economico, biologico, emotivo – diventa esponenziale.
  6. Dopo anni di “toppe”, si arriva comunque alla necessità di rifare tutto, ma in un contesto biologico molto più critico e con costi cumulativi molto più alti.

Scenario B – L’approccio strategico e riorganizzativo, sfortunatamente quello più raro:

  1. A 15-18 anni quando tutto sembra ancora perfetto, vale a dire in un contesto asintomatico e non in regime di urgenza, si fa una valutazione predittiva completa.
  2. Si pianifica il rifacimento intercettando e sfruttando condizioni biologiche ancora ottimali.
  3. Un unico intervento programmato, in un contesto biologico sostanzialmente integro o facilmente risanabile.
  4. Prevedibilità massima, costi cumulativi contenuti, risultati ottimali per i prossimi due decenni…

La differenza tra i due scenari? Non è solo economica, è biologica, è strategica poiché recupera e preserva le strutture di ancoraggio protesico (denti ed apparato di supporto) ridefinendo ed ottimizzando un nuovo orizzonte di funzione di 15-20 anni.

La ricerca mostra che la “libertà dalle complicanze” diminuisce drasticamente dopo 10 anni di funzione. Ogni anno che passa oltre i 15, i margini di manovra si restringono. Drasticamente.

L’adattamento “invisibile”non è infinito.

Permettetemi di rendere visibile l’invisibile..

L’usura media annuale dello smalto contro le ceramiche protesiche varia da 42 a 180 micron all’anno, a seconda del materiale utilizzato, della posizione del restauro e del tipo di funzione in quel determinato paziente.

Vent’anni = 840-3.600 micron di usura cumulativa. Fino a 3,6 millimetri di cambiamento verticale.

Le protesi vengono progettate con tolleranze di decimi di millimetro. Capite ora perché dopo vent’anni, anche se la ceramica è integra, il sistema non è più ottimale?

Il corpo compensa magnificamente. Per anni. La mandibola ruota impercettibilmente, i muscoli ricalibrano le tensioni, le articolazioni trovano nuovi equilibri, i denti antagonisti alla protesi si usurano, erompono e migrano “adattandosi”. Ma ogni compenso ha un costo biologico. E i costi, prima o poi, si pagano.

La finestra di opportunità che può fare la differenza.

Warren Buffett, nella gestione patrimoniale, applica un principio semplice ma potente: “Non aspettare che la casa crolli per rifare il tetto. Rifallo quando è ancora solido ma sai che ha esaurito la sua vita utile prevista.”

Chi colleziona arte lo sa bene: il restauro preventivo, quando l’opera è ancora integra, costa una frazione del recupero emergenziale e preserva valore in modo esponenzialmente superiore.

La nostra bocca è un patrimonio biologico. Probabilmente il più prezioso che abbiamo, perché impatta la qualità della vita quotidiana in modo continuo.

C’è una finestra temporale ottimale per valutare strategicamente le protesi estese: tra il quindicesimo ed il ventesimo anno di funzione.

Prima, il rapporto costo-beneficio non giustifica l’intervento. Dopo, i margini biologici iniziano a restringersi progressivamente, i tessuti hanno accumulato anni di micro-adattamenti, le opzioni terapeutiche diventano più limitate e la prognosi a lungo termine diventa molto più critica.

In quella finestra temporale, abbiamo ancora tutte le carte in mano per agire strategicamente, non per reagire in regime di emergenza.

Guardare oltre la “funzione” è una scelta di vita.

C’è qualcosa di profondamente controintuitivo nel dismettere ciò che “funziona ancora”.

Richiede un tipo particolare di approccio: la capacità di vedere processi invisibili, di comprendere l’entropia in sistemi apparentemente stabili, di valorizzare il non-ancora-sintomatico rispetto al manifesto-problematico.

È la stessa capacità che ci fa programmare la manutenzione dell’auto prima che si accenda la spia. Che ci fa diversificare il portfolio azionario quando i mercati sono ancora stabili. Che ci fa fare il check-up cardiologico anche quando ci sentiamo in forma.

Non è ipocondria. Non è eccesso di precauzione. È intelligenza predittiva.

Le protesi quindicennali/ventennali non sono fallimenti, sono successi clinici che hanno raggiunto il termine del loro ciclo di compatibilità ottimale con una biologia che non è più quella per cui furono progettate.

La domanda che dobbiamo porci non è “funziona ancora?” ma “è ancora ottimale per i prossimi 15-20 anni della mia vita?”

Cosa fare se le protesi hanno più di 15 anni?

Non sto suggerendo di correre a rifare tutto domani. Sto suggerendo una cosa profondamente diversa e più sofisticata: una valutazione strategica predittiva.

Una valutazione che non guarda solo se la protesi è rotta o è diventata inadeguata esteticamente. Ma se:

  • Il sistema biologico sottostante è ancora compatibile
  • I margini stanno diventando critici
  • L’usura occlusale ha superato soglie di compensabilità
  • I tessuti di supporto stanno accumulando stress cumulativo
  • Le condizioni dei denti pilastro sono ancora ottimali per assolvere al loro compito

È la differenza tra gestione strategica e reazione emergenziale.

Riflessione finale

Nella mia esperienza clinica ultradecennale, ho incontrato due tipologie di pazienti:

Il primo tipo attende che qualcosa si rompa, poi interviene. Spende più tempo, più risorse, più energia biologica. Vive anni di compromessi progressivi prima di arrivare alla soluzione definitiva.

Il secondo tipo comprende il valore della manutenzione preventiva. Valuta strategicamente. Interviene quando le condizioni sono ottimali, non quando diventano emergenziali. E ottiene risultati predicibili, duraturi, biologicamente sostenibili.

La differenza non risiede nella posizione socioeconomica del paziente, ma risiede piuttosto nella sua attitudine a comprendere e gestire la complessità delle situazioni.

Le protesi eccellenti, costruite nel 2005, furono un successo! Ma la domanda oggi è:  le strutture biologiche che le hanno supportate sono ancora idonee a garantirne l’ulteriore sopravvivenza?

Questo articolo riflette, oltre alla mia personale esperienza clinica, l’interpretazione della letteratura scientifica peer-reviewed ma non costituisce consiglio medico.                                   

Ogni situazione clinica richiede un’approfondita analisi specialistica individualizzata.

Bibliografia:

  • Pjetursson, B. E., Brägger, U., Lang, N. P., & Zwahlen, M. (2007). Comparison of survival and complication rates of tooth-supported fixed dental prostheses (FDPs) and implant-supported FDPs and single crowns (SCs). Clinical Oral Implants Research, 18(Suppl 3), 97–113. 
  • De Backer, H., Van Maele, G., De Moor, N., Van den Berghe, L., & De Boever, J. (2006). A 20-year retrospective survival study of fixed partial dentures. International Journal of Prosthodontics, 19(2), 143–153.
  • Bart, G., Dobler, B., Schmidlin, K., Zwahlen, M., Salvi, G. E., Lang, N. P., & Brägger, U. (2012). Complication and failure rates of tooth-supported fixed dental prostheses after 7 to 19 years in function. International Journal of Prosthodontics, 25(4), 360–367.

Autore dell’articolo:

Dr. Gaetano Calesini e Dr. Caterina Calesini