Quando la competenza clinica è considerata una variabile da ottimizzare potrebbe costare molto più di quanto immaginiamo…
Oggi vorrei condividere con voi una riflessione su un argomento particolarmente importante.
Non riguarda l’operatività clinica.
Riguarda qualcosa di molto più insidioso: l’architettura organizzativa in cui applicate quella operatività. Qualcosa di cui, probabilmente, nessuno vi ha parlato durante il percorso formativo.
Il dato su cui invito a riflettere.
Una metanalisi pubblicata nel 2023 su Psychology, Health and Medicine (15 studi, 6.038 professionisti) documenta che il 13% dei dentisti soffre di burnout conclamato.
Ma quando consideriamo i dentisti con meno di 10 anni di esperienza, vale a dire molti di voi, emergono pattern ancora più preoccupanti.
Secondo i dati dell’American Dental Association Health Policy Institute (2022), il 27% dei dentisti laureati da 5 anni o meno è affiliato con organizzazioni dentali corporate (DSO), rispetto al 13% della media generale. Il tasso scende al 18% per chi è laureato da 6-10 anni, ma rimane comunque significativamente superiore rispetto ai colleghi senior.
Contemporaneamente, la ricerca peer-reviewed mostra che il 25% dei dentisti manifesta esaurimento emotivo elevato, con livelli che non diminuiscono durante la carriera ma aumentano progressivamente.
Permettetemi di connettere questi due pattern attraverso un framework che probabilmente non avete mai incontrato.
Il modello che spiega cosa state vivendo.
Nel 1979, il sociologo Robert Karasek ha pubblicato uno dei modelli più validati della psicologia occupazionale: il Job Demand-Control Model.
Decenni di ricerca su migliaia di professionisti hanno confermato una verità semplice ma devastante: Il burnout non deriva principalmente dal carico di lavoro. Deriva, piuttosto, dall’impossibilità di controllare come è gestito quel carico.
Il modello identifica quattro configurazioni lavorative. La più tossica si chiama “high-strain job”:
- Alte richieste (molti pazienti, tempi stretti, complessità clinica)
- Basso controllo (poca autonomia su metodi, tempi, scelte cliniche)
Questa configurazione predice in modo affidabile: esaurimento emotivo, ridotto senso di realizzazione, aumento della percezione di errori e nei casi più gravi abbandono della professione.
Perché questo vi riguarda direttamente?
Molti di voi stanno costruendo la propria identità professionale in contesti organizzativi caratterizzati da:
ALTE RICHIESTE:
- Target numerici di pazienti predefiniti centralmente.
- Minutaggi standardizzati per procedura.
- Pressione su metriche di produttività.
- Responsabilità clinica totale (siete voi a firmare, sempre).
BASSO CONTROLLO:
- Protocolli e materiali decisi altrove.
- Scheduling che non controllate.
- Scarsa o nulla influenza sul “case mix” (composizione dei pazienti di un ospedale o reparto. Indica la complessità, la gravità e la diversità delle condizioni cliniche trattate).
- Tempo insufficiente per la dimensione relazionale che avete scelto come parte della vostra professione.
Questo non è un giudizio morale sulle organizzazioni.
È, piuttosto, un’osservazione strutturale validata dalle evidenze: quando un’architettura organizzativa riduce l’autonomia in professioni ad alta competenza, il prezzo si paga in termini di benessere dei professionisti.
La bizzarria della competenza inutilizzata.
Ecco l’insight più doloroso, emerso da studi sul modello demand-control: il burnout è più intenso quando possiedi competenze che il sistema non ti permette di esprimere pienamente.
Vi siete formati per anni per acquisire giudizio clinico autonomo. Poi entrate in sistemi dove quel giudizio ha margini limitati di espressione. È come assumere un violinista formato al conservatorio e chiedergli di suonare solo scale predefinite.
Tecnicamente lo può fare. Ma l’essenza della sua identità professionale viene erosa, giorno dopo giorno e, nel nostro campo, appuntamento dopo appuntamento.
Gli studi peer-reviewed documentano che questa erosione non è soggettiva. Ha conseguenze misurabili: il 46,1% dei dentisti riporta preoccupazione di aver commesso errori negli ultimi 6 mesi, e l’analisi multivariata mostra che questa preoccupazione è predetta dal livello di burnout, non dagli errori oggettivi.
In altre parole: più sei esaurito, più percepisci errori che potresti anche non aver commesso.
Il sistema ti sta facendo dubitare della tua stessa competenza.
Perché molti non lo riconoscono?
C’è un bias cognitivo pericoloso che osservo frequentemente nei giovani colleghi: la normalizzazione di configurazioni disfunzionali. Qualcosa che ha a che fare con l’imprinting…
Se il vostro primo contesto lavorativo post-laurea ha le caratteristiche di cui stiamo parlando, rischiate di pensare che ” l’odontoiatria moderna è così “ perché, sfortunatamente per voi, non avete riferimenti alternativi per il confronto.
Ma la realtà e la ricerca sono chiare: esistono configurazioni organizzative che preservano sia l’efficienza sia l’autonomia professionale.
Queste caratteristiche non sono incompatibili, richiedono solo una visione più sofisticata e profonda della professione.
Il problema è che molte organizzazioni ottimizzano la metrica sbagliata, vale a dire, l’efficienza operativa di breve periodo invece della sostenibilità professionale di lungo periodo.
Le tre domande dirimenti.
Basandomi sull’evidenza scientifica e su decenni di confronti con pratiche professionali internazionali di eccellenza, suggerisco tre domande “diagnostiche”:
1. Autonomia Clinica Reale “Quando un caso presenta complessità, ho la libertà di modificare il piano di trattamento e i tempi secondo il mio giudizio clinico, o devo adattare il mio giudizio ai vincoli organizzativi?”
2. Relazione Terapeutica “Ho il tempo sufficiente per costruire una reale relazione con il paziente che considero parte integrante della cura, o la relazione è compressa nei margini dell’efficienza produttiva?”
3. Sviluppo Professionale “Il sistema in cui lavoro attualmente sta investendo nel mio sviluppo come professionista autonomo, o mi sta “formando” per essere un esecutore efficiente di protocolli predefiniti?”
Se le risposte oneste sono tutte orientate verso la seconda opzione, siete in una configurazione high-strain. La ricerca predice che questa configurazione avrà per voi un costo.
Il costo…
Non sto parlando, solo, del costo economico. Sto parlando di qualcosa di più profondo: il costo identitario.
Voi vi siete formati con un’idea di cosa significa essere un odontoiatra. Quella idea probabilmente includeva:
- Sviluppo di elevate abilità manuali
- Esercizio del giudizio clinico autonomo
- Costruzione di relazioni terapeutiche significative
- Sviluppo di relazioni fiduciarie a lungo termine
- Continuo apprendimento e affinamento delle competenze
Se il sistema in cui lavorate erode sistematicamente questi elementi, non state solo accumulando esaurimento. Vi state progressivamente allontanando dall’identità professionale per cui vi siete formati.
La letteratura documenta che quando questo divario diventa insostenibile, i professionisti migliori, quelli con più opzioni, se ne vanno. Quelli che restano spesso sviluppano, come meccanismi difensivi, cinismo e indifferenza.
Nessuna delle due è una soluzione. Entrambe rappresentano una perdita sia dal lato umano che da quello professionale.
La metanalisi che dovrebbe allarmarci
Le revisioni sistematiche mostrano che la prevalenza di burnout è significativamente più alta in Europa rispetto alle Americhe.
Le ipotesi dei ricercatori l’attribuiscono a:
- Sistemi sanitari più burocratizzati.
- Maggiore regolamentazione esterna.
- Minor controllo autonomo sulla pratica.
Questi tre fattori descrivono altresì l’evoluzione del mercato odontoiatrico in molti paesi che vede una progressiva concentrazione in grandi organizzazioni che standardizzano i processi.
Questa è la direzione! Voi state entrando nella professione proprio nel momento di massima contrapposizione tra il modello tradizionale ed il modello corporate emergente.
Una riflessione scomoda ma necessaria
Permettetemi una domanda diretta, da collega anziano a colleghi all’inizio della carriera:
Se oggi accettate una configurazione lavorativa high-strain perché “è normale” o perché “tutti fanno così” o perché “almeno così ho uno stipendio sicuro”… quale sarà il vostro stato professionale tra dieci anni?
La ricerca mostra che il burnout non migliora spontaneamente. Se non cambiano le condizioni strutturali peggiora progressivamente.
Tra 10 anni potreste trovarvi:
- Clinicamente competenti ma emotivamente esauriti.
- Cinici e indifferenti verso una professione che un tempo amavate.
- Intrappolati economicamente in una situazione che vi consuma.
- Con competenze sottoutilizzate e un senso di realizzazione in progressivo declino.
Non è un destino inevitabile ma, per evitarlo, è richiesta profonda consapevolezza su cui fondare decisioni informate.
Non sto suggerendo di rifiutare qualsiasi contesto organizzato…
Le organizzazioni possono offrire vantaggi reali: riduzione del carico amministrativo, accesso alle nuove tecnologie, supporto nella gestione assicurativa…
Sto suggerendo di valutare criticamente l’architettura domanda-controllo prima di accettare:
Cercate contesti che offrono:
- Autonomia clinica reale (non solo dichiarata).
- Tempi adeguati ad affrontare la complessità (variabile) dei casi.
- Investimento nel vostro sviluppo professionale a lungo termine.
- Cultura gestionale che valorizzi il giudizio clinico individuale.
- Possibilità di influenzare l’organizzazione del lavoro.
- Una visione/gestione che metta al centro gli interessi dei pazienti, non quelli degli azionisti.
Diffidate di contesti in cui:
- I target numerici prevalgono sul giudizio clinico.
- I protocolli sono rigidi indipendentemente dalla complessità.
- Il vostro valore è misurato solo in metriche di produttività.
- Non avete voce su come organizzate il vostro lavoro.
- La crescita professionale significa solo “fare più volume”.
Un invito al confronto costruttivo.
La professione odontoiatrica sta attraversando una trasformazione strutturale e voi siete la generazione che ne determinerà l’esito.
Se accettate passivamente configurazioni high-strain come “nuova normalità”, tra 15 anni l’odontoiatria sarà profondamente diversa da quella che i vostri docenti e mentori vi hanno insegnato ad amare.
Se invece sviluppate consapevolezza critica e pretendete architetture organizzative che preservano sia efficienza che l’autonomia professionale, potete contribuire a un’evoluzione più sostenibile.
Non è una scelta tra “tradizione romantica” e “modernità efficiente”. È una scelta tra configurazioni che bruciano i professionisti (e danneggiano i pazienti) e configurazioni che li sostengono nel lungo periodo.
La domanda finale è: quale odontoiatria volete contribuire a costruire?
Il confronto tra generazioni su questo tema non solo è utile. È urgente!
Mi piacerebbe molto sentire la vostra prospettiva. Riconoscete questa dinamica? Cosa state vivendo nei vostri contesti lavorativi? Avete trovato organizzazioni che riescono a bilanciare efficienza ed autonomia? Cosa state facendo per costruire un futuro appagante per voi e per i vostri pazienti?
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Autore dell’articolo:
Dr. Gaetano Calesini e Dr. Caterina Calesini