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Riflessioni Estive di un Dentista

PARTE II

Alla fine degli anni ’70, quando iniziai a praticare, credevo che la perfezione tecnica fosse tutto.

Ricordo un paziente di allora. Aveva bisogno di un semplice restauro, ma durante la seduta continuava a stringere i pugni. Io, concentrato sulla “precisione millimetrica”, pensavo fosse solo normale nervosismo.

Solo alla fine scoprii che aveva appena perso il lavoro e non sapeva come avrebbe pagato il trattamento. Ero stato tecnicamente “perfetto”, ma umanamente assente.

In oltre quarant’anni ho imparato che l’ascolto è il primo strumento terapeutico. Prima ancora degli strumenti di precisione che utilizzo oggi.

Ora, quando un paziente si siede sulla poltrona, dedico molto tempo alla persona, non solo ai denti. Spesso scopro che dietro un “semplice controllo” c’è una preoccupazione estetica per un colloquio importante, o l’ansia di un genitore per il figlio.

La tecnologia è evoluta incredibilmente in questi decenni. Ma ho scoperto che il valore più grande che posso offrire ai pazienti non risiede negli strumenti o nei materiali che utilizzo, ma nel tempo dedicato a comprendere.

Non sempre ci riesco perfettamente. L’ascolto vero richiede pratica continua, anche dopo tutti questi anni…

💭 Per i colleghi: cosa vi ha insegnato di più sulla professione il tempo e l’esperienza?

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